Nacque il 20
gennaio 1609 a San Giovanni Bianco (BG) e morì il 30 gennaio 1679. Non
si conosce l’età in cui Carlo Ceresa venne affidato a un maestro di
pittura, né esistono prove che questo fosse realmente accaduto; è certo
invece che l’alunnato presso il pittore milanese Daniele Crespi non
avvenne. Solo verso il 1630 il Crespi attraverso probabilmente qualche
testo pittorico stimolò concettualmente il Ceresa, inducendolo non ad
una timida imitazione, ma ad una rimeditazione indipendente. Le opere
iniziali di Ceresa dimostrano che egli ebbe un tirocinio
tardomanieristico di pittura sicuramente locale. Nella città di Bergamo
furono allora presenti alcuni importanti pittori, quali Giovanni Paolo
Cavagna, Enea Salmeggia, Talpino, Francesco Zucco. Fra il 1626 e il 1627
nell’arco di tempo di pochi mesi questi artisti scomparvero, offrendo al
diciottenne Ceresa molte possibilità di lavoro.
La carenza a cui
cercò di sopperire al più presto fu rappresentata dalla composizione
sacra, per la mancanza di quel repertorio di forme e di figure, di
quegli accorgimenti compositivi che in una scuola bottega avrebbe
sicuramente appreso. Per migliorare questa sua lacuna utilizzò le stampe
di disegni, per crearsi quella cultura figurativa che cercò di adattare
secondo le proprie esigenze.
Un grande affetto
legò il pittore al suo paesaggio natale e alla sua gente, tanto da
rappresentare spesso il primo come sfondo in molte delle sue opere e i
suoi paesani nei volti dei soggetti delle pale d’altare. Negli anni
vicino al 1640 raggiunse la piena maturazione artistica. L’ammirazione
della committenza lo ripagò procurandogli moltissimi lavori. Carlo
Ceresa, noto in vita per il suo carattere estremamente riservato, non
organizzò una stabile scuola - bottega, fece da maestro a due dei suoi
figli che gli furono d’aiuto e non propagandò la propria produzione.
Nel santuario gli affreschi eseguiti da
Ceresa occupano l’arco e le due campate della volta a botte, sopra
l’altare. Sopra le nicchie create nei pilastri dell’arco sopra l’altare,
vi sono due piccoli affreschi raffiguranti figure femminili sedute, che
invitano a volgersi verso l’altare. Più in alto, due putti volanti
sollevano l’uno il giglio, l’altro la ghirlanda di rose. Essi
introducono al tema realizzato nel soffitto della navata principale, che
mostra al centro di ogni campata un riquadro maggiore, con una coppia di
angeli musicanti seduti su nuvole, affiancato da riquadri minori, con
putti alati e reggenti simboli mariani. La diversità delle cornici a
stucco fra le due campate fa supporre che l’ornamentazione sia stata
eseguita in due tempi. L’effetto finale è quello di una volta ricca di
statue di stucco, attraverso le quali s’intravedono i putti svolazzanti
in un cielo azzurro.
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