Nacque a Padova nel 1588 e morì a
Venezia
nel 1649.
Figlio del pittore veronese Dario Varotari
ricevette
la formazione artistica assieme alla sorella Chiara nel contesto
familiare anche se con ogni probabilità non fu allievo del padre, che
morì quando l'artista era ancora bambino.
Intorno al 1614 si trasferì a Venezia, ma
già nelle opere eseguite precedentemente a tale data per la basilica di
S. Antonio e per il Duomo di Padova l'artista mostrava uno studio
attento alle opere di Tiziano. Tra il 1619 e il 1612 il Padovanino
eseguì alcuni mosaici per la basilica di S. Marco. La produzione
eseguita intorno agli anni Venti fu fortemente ancorata a Palma il
Vecchio e a Paolo Veronese. Verso la metà del terzo decennio mostrò
delle aperture verso la pittura barocca, determinate anche dall'arrivo
nella sua bottega di Girolamo Forabosco. La sua produzione fu comunque
caratterizzata da una sostanziale fedeltà alla tradizione veneta del
tardo Cinquecento, notevolmente apprezzata dalla committenza pubblica,
che gli assegnò commissioni prestigiose.
La tela (cm. 225X 264 ) collocata nella lunetta di
fondo al presbiterio a circa 13 metri di altezza, era stata erroneamente
attribuita dapprima a Carlo Ceresa, autore degli affreschi del
presbiterio, poi ad Antonio Cifrondi
da parte di Angelo Pinetti e solo nel 1988
restituita al Padovanino da Ugo Ruggeri, sebbene attribuzioni allo
stesso artista erano avvenute nel 1892 da don Angelo Gritti e da B.
Villa.
Il restauro del 2010 ad opera di Antonio Zaccaria
sotto la direzione tecnico scientifica di Laura Gnaccolini della
Sovrintendenza per i Beni storici e artistici di Milano ha consentito
una analisi più ravvicinata ed accurata che ha definitivamente
confermato l'attribuzione dell'opera alla mano diretta del Padovanino.
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